Il meglio dello street food siciliano

6 min · 5 Lug 2024

Il meglio dello street food siciliano

I gastronomi di tutto il mondo sanno bene che la Sicilia è un punto di riferimento per chi ama lo street food. In Italia non c’è regione che sia così ricca di proposte da consumare “on the road”. Passeggiando per le vie delle città e dei paesini siciliani è praticamente impossibile resistere a queste deliziose prelibatezze che sembrano fare a gara in un’esplosione di gusto. Poco costose e disponibili a tutte le ore (dall’alba a notte fonda), accostano sapori di una volta e abbinamenti nuovi, partendo sempre dalla materia prima, la cui scelta non è mai lasciata al caso.

Quali sono le specialità dello street food siciliano? Ne abbiamo selezionate 7 che fanno venire l’acquolina in bocca solo a parlarne.

Arancine (o arancini)

Arancine o arancini? Questo è il dilemma! In Sicilia Occidentale si preferisce la declinazione femminile mentre nella parte orientale è il maschile ad aver avuto la meglio. Tralasciando la polemica sul genere, questa prelibatezza fritta siciliana è una delle pietanze più famose dell’isola. Per chi non li conosce (c’è ancora qualcuno che davvero non sa cosa siano?), si tratta di piccoli timballi di riso dalla panatura croccante farciti solitamente con ragù, piselli e caciocavallo. Ma di cui ne esistono tante varianti (ripieni di prosciutto cotto e mozzarella, al pistacchio di Bronte, con il tipico sugo alla norma, ecc.). Il nome deriva dalla forma e dal colore tipici, che ricordano un’arancia, anche se in Sicilia orientale ha quasi sempre una forma più appuntita, ispirata forse alla sagoma dell’Etna. Riguardo le origini, sembra che risalgano al periodo della dominazione araba, tra il IX e l’XI secolo.

Pane e panelle

Pane e panelle è un altro classico dello street food siciliano (tipico soprattutto della città di Palermo). Le panelle sono delle golose frittelle di farina di ceci, generalmente aromatizzate con prezzemolo e arricchite da una spruzzata di limone, che vengono servite all’interno di un morbido panino, chiamato mafalda, la cui superficie è ricoperta di semi di sesamo. Anche la storia di questa pietanza rimanda agli arabi, dominatori della Sicilia a cavallo tra il IX e l’XI secolo. Furono loro infatti a sperimentare la macinazione dei semi di ceci per ricavarne una farina che, mescolata all’acqua e cotta, dava vita ad un impasto simile alla polenta. Furono poi i panellari (ossia i venditori di panelle) ad affinare la ricetta aggiungendovi sale, pepe e ovviamente la frittura.

Pani câ mèusa

Il pani câ mèusa è qualcosa a cui il semplice turista o l’avventore foodies non può assolutamente rinunciare. Consiste in un morbido panino caldo (di solito una tonda vastedda o, talvolta, una mafaldina o mezza mafalda siciliana) imbottito con sottilissimi strati di milza, polmone e finanche trachea di vitello, prima bolliti o cotti al vapore e poi soffritti nella sugna, ovvero nello strutto. Quando viene ricoperto di caciocavallo grattugiato o di ricotta, si dice maritatu, cioè “sposato” con gli altri ingredienti. Leggenda narra che la sua origine risalga al Medioevo, quando gli ebrei palermitani che lavoravano come macellai, dato che non potevano percepire denaro derivante dalla macellazione degli animali (questi i dettami religiosi ebraici), trattenevano le interiora come ricompensa, che poi rivendevano come farcitura insieme a pane e formaggio.

Pani cunzatu

Il pani cunzatu, che non significa altro che “pane condito”, è una pagnotta croccante (ancora calda o sfornata da pochissimo tempo) farcita tradizionalmente con acciughe sottolio, pomodori, primo sale siciliano, origano e olio extravergine. Diffuso (in più versioni) in tutta l’isola, dal trapanese alle isole Eolie, è un piatto povero ed era il piatto principale delle famiglie contadine che non potendo permettersi pasta, carne o pesce, preparavano il pane nel forno di casa e lo guarnivano come si poteva. Per questa ragione veniva in passato anche denominato “pane della disgrazia”. Sebbene sia un piatto semplice, per i suoi aromi prelibati rappresenta al meglio l’essenza della cucina siciliana.

Stigghiola

Un’altra specialità dello street food siciliano è la stigghiola, quella che cittadini e turisti riconoscono dal fumo provocato dal cosiddetto stigghiularu (ovvero il signore che dirige la piastra). Gli ingredienti base sono due: cipollotti e budella (generalmente di agnello, ma ci sono pure di vitello), che vengono lavate in acqua e sale e arrotolate attorno al cipollotto per poi essere cotte sulla brace. Una volta pronte, si tagliano a pezzetti e si condiscono con sale e limone. Il nome deriva dalla locuzione latineggiante “extiliola” che, tradotta letteralmente, assume il significato di intestino. Nonostante la denominazione latina, il piatto risalirebbe all’epoca in cui la Sicilia era sotto la dominazione greca.

Quarume

La quarume, o caldume (ovvero “piatto caldo”), è una vera ghiottoneria. Si prepara con le interiora del vitello (omaso, abomaso, reticolo e rumine, in dialetto ventra, matruzza, centopelle e ziniere), che dopo essere state accuratamente lavate si fanno bollire in un grosso pentolone (detto quarara) con carote, cipolle, sedano, prezzemolo e pomodoro. Si mangia calda servita con il brodo di cottura o asciutta, con sale, pepe e olio. Il termine deriva dal vocabolo greco “cholàdes” che vuol dire budellame ed ha origini molto antiche. In passato veniva utilizzata per lo svezzamento dei bambini perché le interiora del vitello di cui è composta sono ricche di principi nutritivi.

Sfincione

Infine, è impossibile dimenticare lo sfincione (detto anche sfinciuni o spinciuni), il celebre “pane-pizza, che grazie alla sua lievitazione assume l’aspetto di una spugna. Il nome viene infatti fatto derivare dal latino “spongia” e dal greco “spòngos”, ossia spugna. Al di sopra viene stesa una farcia fatta con salsa di pomodoro, acciughe, origano, caciocavallo e cipolle. Ma, come spesso accade nelle ricette della tradizione, ne esistono diverse versioni, tra cui spicca quella preparata a Bagheria, che prevede, in sostituzione della salsa di pomodoro, l’aggiunta di tuma (o ricotta fresca) e di mollica. Si narra che a crearlo siano state le suore del Monastero di San Vito di Palermo nel Settecento.

Foto galleria fotografica © (1) Wikipedia – Dedda71 | (2) Wikipedia – Popo le Chien | (3) Rino Porrovecchio – Flickr

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